Capitolo XLVIII
Lorelai
Rimetto anche l'anima. Con gli occhi pieni di lacrime e i singhiozzi a mille, spero che i miei sensi si annullino presto, che la mia testa ricada sul marmo spaccandosi e l'agonia nera che mi avvelena l'anima scivoli via assieme al sangue rosso. Al contrario di quello che pensa Luka, ficcarmi le dita in gola ogni notte non fa parte della dieta a cui mi ha sottoposta appena siamo tornati; è solo un mio progetto personale, che si spera finisca con una bara lucida. O magari con una fossa comune, non mi importa. Spero in quelle cose sovrannaturali in cui nel momento del pericolo mi appare il volto di Liu che mi dice di non farlo, di continuare a vivere per lui, che mi aspetta nei cieli ma solo quando sarà il mio momento. Ma non succede, e questo non fa che mettermi fretta.
So cosa si pensa: uccidersi per amore a sedici anni, che follia. Per una stupida cotta, per giunta. È solo un orrendo periodo chiamato adolescenza. La depressione non esiste, c'è solo una fase no. È evidente che non avete conosciuto Liu. E se mai vi fosse capitato, o siete morti o siete scappati. Ma io lo conoscevo davvero. Lui era molto di più di quello che era obbligato a fare. Grazie a lui, ho ritrovato la mia migliore amica e ho scoperto cosa significa davvero amare. Senza di lui, il sole non è caldo, il vento non rinfresca, gli odori perdono la loro fragranza e diventano aria viziata.
Ecco: un buon motivo per uccidersi sarebbe vedere come sono diventata. Non sono io. Queste frasi non sono da me. Sono disgustose. Eppure è questa che sono ora, questo e nient'altro. Un guscio vuoto? No, magari fosse vuoto. È un guscio riempito da un'anima piena di nero. Quel nero sono i sogni sfioriti, le speranze represse, gli amori sfumati come per un colpo di pistola. Proprio per un colpo di pistola.
Luka non infierisce. Perché non infierisce? Non ha provato a portarmi a letto, neanche una volta. Continua a propinarmi ogni tipo di servizio domestico, senza sapere che mi sta facendo un favore: non che in quei momenti i miei pensieri mi lascino finalmente libera, ma restare sola con me stessa è la parte più brutta.
Quanto tempo abbiamo sprecato… per quanto tempo avremmo potuto amarci, tempo prezioso che ci è sfuggito dalle mani. Tempo che abbiamo riempito con orgoglio, frecciatine e insulti, che forse ferivano più noi stessi che l'altra persona. Tenere gli occhi aperti è un supplizio, perché mi costringe a vedere quello che sono diventata; ma chiuderli è una tortura, perché dietro le palpebre c'è lui. Con i suoi occhi verdi, quel sorriso dolcissimo che è riuscito a rivolgermi, quel "ti amo" sussurrato che mi ha sconvolta. Tutti i nostri litigi, tutti i commenti burberi, le occhiatacce, tutto faceva parte del Liu che mi ha fatto perdere la testa.
Ricado raggomitolata sul pavimento. Fa troppo, troppo male. La mia mente è logorata, il mio spirito spezzato, il mio amore perduto.
Mi trascino verso una parete e mi metto a sedere contro il muro, le gambe strette al petto circondate dalle braccia, la fronte poggiata alle ginocchia. Mi spingo in avanti e poi all'indietro, mi dondolo cercando di arginare tutto il dolore che mi investe. Continuo a ripetere il suo nome come una dolce ninnananna. Lui era la melodia della mia anima, la colonna sonora della mia vita storpiata nella sua nota più bella, più dolce, più passionale.
La nostra storia distrutta ripercorre la mia mente e inspiegabilmente sorrido. Soffoco tra le lacrime e sorrido.
Io sto impazzendo.
Jade
Le pareti bianche dell'infermeria mi strappano il respiro dai polmoni. Questo posto è bianco e rosso, bianco del luogo e rosso delle ferite che sperano di sparire nel candore. È un luogo strano. Ci si aspetta il silenzio per il riposo dei pazienti, ma è pieno di gemiti sommessi, di lamentele, di grida silenziose, perché ce ne sono anche di silenziose, eccome. Ora però, c'è silenzio sul serio. Chiunque abbia un minimo di esperienza, o anche chi non ne ha in effetti, si accinge a versare disinfettante sull'ovatta o a stringere bende per fermare il sangue, che poi in realtà le imbratta, e cinque minuti dopo sei costretto a cambiarle comunque.
Jeff se ne sta zitto su un lettino a farsi medicare, dopo aver dato la precedenza a chiunque fosse ferito, anche meno di lui, o anche a chi aveva bisogno solo di un controllo. Sally se ne sta in un angolo, con le lacrime agli occhi, aspettando che Angel finisca di ricucire la testa al suo orsacchiotto. Ha persino voluto che lo visitasse.
Non ho mai visto Jeff così silenzioso. Non ha neanche la forza di arrabbiarsi, di piangere. E chi ne ha?
Lorelai è di nuovo nelle mani di Luka. Oh sì, volevo andare a prenderla e spaccare la testa a quello stronzo una volta per tutte. Mi sarebbe piaciuto davvero se Slender non mi avesse ricattata.
Sono tutti convinti che sia colpa sua. Non serve a nulla provare a difenderla, tutti credono che tutto questo sia colpa di Lorelai.
Mi asciugo le lacrime. Devo scegliere: o la mia famiglia, o lei. Guardo Jeff. Non posso fargli questo, non posso andarmene. Non posso lasciarlo così per andare a cercarla. Ha bisogno di me ora. Non so che fare, non so che pensare. Slender è stato chiaro: se me ne vado, sono fuori dai giochi. Bisogna trovare un'altra casa e stare al sicuro finché la situazione non si sarà calmata. Sbircio fuori dalla finestra: decine di corpi ormai freddi come un grosso punto esclamativo rosso sulla radura. Abbiamo poco tempo prima che vengano a cercarci. Chissà se Luka non li ha già avvertiti di noi. Ma che importa? Non posso salvare la mia migliore amica, non posso aiutare il mio ragazzo. Vado verso Sally e provo ad abbracciarla. Mi dice che sta bene, che non ne ha bisogno. Ma non era per lei, era per me. Cerco di controllare il tremore violento che mi sconvolge le spalle e stringo la mano di Jeff. È lui quello ferito, e sono io a piangere. Mi guarda solo e ricambia la stretta sulla mia mano. Lo amo, lo amo da impazzire. Scoppio in singhiozzi appoggiando la testa sulla sua spalla e mi lascio accarezzare. Sono inutile. Sono dannatamente inutile.
Luka
<<Apri le gambe!>>
Pistola, coltello, persino la frusta. Non posso niente. Non fa una piega, neanche dimostra che le faccio male. Se ne sta lì a sbeffeggiarmi con quel suo sorriso irriverente. È legata, non può muoversi. E riesce comunque a tenere chiuse le gambe. La minaccio di morte. La sua risposta è "Da quando sei tanto misericordioso?"
La odio, la odio profondamente. La tentazione di togliere questa puttana dalla faccia della terra è forte, ma so che è esattamente quello che vuole, quindi non lo farò.
È un'ora di tortura, un'ora in cui provo disperatamente a infilarmi tra le sue gambe senza successo. La ferisco, la frusto, non serve a nulla.
<<Ora basta.>>
La slego e la trascino per i capelli fino al seminterrato. Finalmente urla, questa stronza, finalmente la sento urlare di dolore. E ci godo. La trascino per le scale verso il basso, strattonandola per i capelli, e la rinchiudo in una cella.
<<Te ne starai qui senza mangiare e senza bere finché non ti convincerai ad aprire le gambe, troia.>>
<<Puoi aspettare per sempre, morirò qui.>>
<<Lo vedremo.>>
Me ne vado incazzato e bevo una bottiglia di birra per calmare i nervi. Mi metto il giubbino ed esco, verso un night club. Non rimarrò in bianco anche stasera.
Lorelai
È il rosso del mio sangue questo che brilla nell'oscurità? Sì, lo è. Resto finalmente sola ma non piango, non ho lacrime.
La testa mi scoppia, fa un male che crederei di star impazzendo, se pazza non lo fossi già. Ho la vista appannata dal dolore. Poco importa, non ho niente da vedere. Mi massaggio la testa ma il dolore non passa. Ma ho le forze per un sorriso. Poche cose nella mia vita sono state migliori della faccia di Luka quando mi sono lasciata ferire senza fare una piega. Ma del resto, che altro avrebbe potuto togliermi?
Rosso e nero. Vedo solo puntini. Rossi e neri. La testa pulsa. Mi stendo. Svengo.
Mi risveglio. Una tenuissima luce mi infastidisce gli occhi. La luna si affaccia sulla minuscola finestrella che mi sovrasta, lasciando intravedere il suo splendore marmoreo intervallato dalle grate. Ruoto gli occhi: c'è davvero una finestrella sbarrata? Che cliché. Luka è sempre stato troppo teatrale. E se lo dico io è tutto dire.
Mi alzo a fatica. Ho i vestiri incrostati di sangue. Pazienza, non devo certo essere carina mentre cerco un modo di scappare. Va bene morire, ma non per mano di Luka. Mi è rimasto un brandello di orgoglio che reclama a gran voce la mia attenzione e non intendo ignorarlo.
Mi appoggio alla parete per sorreggermi. Sento come della carta sotto le dita, carta plastificata, come di foto. Sono foto. Foto di ragazze.
Man mano che i miei occhi scrutano la parete, si spalancano dall'orrore: decine di foto di ragazze in intimo, nude, persino legate come lo ero io, piangenti, rosse di sangue e nere di lividi. Ancora rosso e nero.
Indietreggiò terrorizzata fino ad un angolo, e un rumore mi fa trasalire. Sto pestando dei fogli, delle cartellette gialle. Aspetto silenziosamente, col cuore in gola, cercando di capire se Luka sta venendo a controllare, ma non sento rumori di passi. Prendo le cartelle, cercando di arrestare il tremito incessante delle mie mani. Apro la prima.
Nome: April Lowet
Età: 18 anni
N° foto: 13 foto
Stato: Fidanzata
Rapporto: Violentata
Torture: Sì
Stanza della fame: Sì
Attaccata con una graffetta, c'è la foto di una ragazza bionda dagli occhi azzurri, che sorride all'obiettivo di un sorriso un po' incerto, di chi non si rende conto del perché è in quel luogo in quel momento.
Richiudo velocemente la cartella e ne apro un altra, con la foto di una ragazza con i capelli rossi mossi al vento e gli occhi azzurri, e un sorriso dolcissimo.
Nome: Margareth Johnson
Età: 20 anni
N° foto: 37
Stati: Single
Rapporto: Volontario
Torture: No
Stanza della fame: No
Sfoglio tutte le cartelle, fin quando ricado sulle mie gambe e quasi sbatto la testa al muro. Il battito del mio cuore mi rimbomba nelle orecchie come un tamburo che scandisca il tempo mancante all'orrore totale. Diciottenni, ventenni, persino una quattordicenne. Tutte costrette a un rapporto col mostro che le ha usate e umiliate. Decine di ragazze prima di me sono state violentate, torturate da un maniaco che ha goduto del loro dolore e delle loro suppliche. La testa torna a pulsare, lo stomaco è sottosopra e stavolta non è colpa mia. Mi appoggio di nuovo al muro e chiudo gli occhi per placare il dolore, ma mi sembra di sentire le urla di April, Katie, Annie e chiunque come loro non si sia volontariamente unita a Luka.
Faccio un passo all'indietro, ma così facendo vado a sbattere contro delle ferraglie, che a loro volta cadono su altro ferro e insieme finiscono sulle sbarre di quella che ho capito essere la stanza della fame, producendo un rumore assordante e fastidioso. Ora Luka verrà di sicuro a controllare. Sono finita. Nascondo velocemente le carte e mi stendo sul pavimento accanto ai secchi e alle catene che ho urtato prima, sistemandomi in modo da far credere che sia stato un involontario movimento del piede a farli cadere. Aspetto così un minuto, due, cinque, i secondi scanditi dal battito incessante del mio cuore. Dietro la palpebre chiuse, minacciosi mostri fatti di ombra vengono a tormentarmi come degli incubi che ho rinchiuso da bambina e che in questa prigione sembrano rinascere tutti, più oscuri, più forti, più spaventosi.
Sette minuti, e Luka non è arrivato. Non è possibile, sono certa che il fracasso che ho fatto si sia sentito fino al secondo piano. A questo punto ho due possibilità: o sta dormendo, o è uscito.
È possibile che io sia tanto fortunata? Che dopo tante torture e umiliazioni e dolore mi siano toccati pochi minuti di libertà? Che Luka sia dormendo o addirittura… sia uscito, dandomi così la possibilità di elaborare un piano per scappare?
Ma il piano è già elaborato. Mi sembra di sentire il sangue che torna a scorrere nelle vene e l'aria fresca che torna a invadere i miei polmoni, come se finora fossi stata in una continua apnea, o addirittura in coma. D'un tratto, mi sembra che la vista si sia acuita, e riesco a distinguere la stanza persino oltre le sbarre lucide. Mentre cerco una forcina che sono sicura di avere tra i capelli (non voglio neanche sapere come ci è finita… io non le uso), penso a tutto quello che potrebbe andare storto, ripetendomi il solito mantra: "Male che vada mi uccide, e allora? È quello che voglio, no?"
No, non più. Ora quello che voglio è riscattare l'onore e l'orgoglio di decine di ragazze, e spedire questo maniaco al suo inferno una volta per tutte.
Trovata! Deformo la forcina e la uso per forzare la serratura delle sbarre. Alzo un sopracciglio: certo che Luka avrebbe potuto quantomeno aggiungere un lucchetto. Con il cervello largo quanto un pinolo, mi chiedo come abbia fatto a farla franca finora. Che perfidia e sadismo abbiamo totalmente rimpiazzato l'intelletto? Avrò tempo per pensarci quando sarò libera.
Prendo i fascicoli e qualche altra prova disseminata nella stanza (questa è bella: ma sì, lasciamo una vittima rinchiusa in una stanza piena di prove che potrebbero incastrarti per sempre, mi sembra un'idea geniale!) e vado dritta alla centrale di polizia.
<<Non si preoccupi, signorina: il mandato di arresto per un certo Ryan Gosglow era già stato emanato diversi anni fa, così come quello per Dylan Bocket e Danny Dion. Ci è voluto poco a capire che tutti questi nomi corrispondevano alla stessa persona, si trattava solo di capire che nome stesse usando ora. L'agente Lombard procederà immediatamente a inviare una squadra per l'arresto del ragazzo e questo incubo finirà. Siamo in debito con lei. La ringraziamo a nome di molte ragazze. Intanto accetti questa piccola somma come premio al coraggio.>>
Spingo gentilmente la mano del poliziotto col sacchetto di soldi lontano da me, accennando un sorriso. <<Grazie di cuore agente, ma non credo di meritare un premio per essermi salvata. Sapere che quello che ho dovuto subire sarà risparmiato a molte ragazze è già di per sé una ricompensa e non c'è altro che io possa chiedere che mi darebbe più gioia.>>
L'agente posa il sacchetto. <<È una ragazza fuori dal comune, signorina Smith. Bene, mi lasci la sua mail e la aggiorneremo sui movimenti di Luka Rogers. In caso di evasione-perchè sono certo che riusciremo ad arrestarlo-lei sarà immediatamente avvertita e posta sotto la protezione della polizia. Per ora, torni a casa, si rilassi e avverta la sua famiglia che sta bene. Lei è finalmente libera.>>
Scrivo la mia mail su un foglietto, dopo essermi assicurata che il mio telefono si accenda ancora dopo essere stato distrutto da Liu. In qualche modo, è qualcosa che ci unisce e non voglio cambiarlo. Il poliziotto prova ad offrirmene uno nuovo, ma rifiuto fermamente.
Esco e lascio che l'aria fredda della notte mi faccia rabbrividire. Le nuvole che coprivano la luna si fanno da parte per rivelare la lucentezza argentea del satellite e, come per uno scherzo, sembra indicarmi la via della foresta. "Torni a casa", così ha detto l'agente. Ma io una casa non la ho, e nemmeno una famiglia. Non una vera e propria comunque, o meglio non posso tornarci. In compenso, ne ho una assolutamente eterogenea e un po' sgangherata che mi ha dato del filo da torcere, ma che è comunque diventata la mia famiglia. Sollevo lentamente le maniche della mia maglia: le incisioni sembrano brillare di rosso nell'oscurità nera della notte. E poi è come se fossi in trance. Inizio a correre tra gli alberi, liberando i vestiti dai rami intricati e lasciando che le foglie mi frustino il viso fino a farlo sanguinare. Non sarò carina? Che importa? Non c'è nessuno ad aspettarmi. Il telefono tintinna incessantemente nella mia tasca, mentre decine di messaggi ne occupano la memoria, ma non mi fermo e continuo a correre. Finalmente arrivo alla Creepy House.
<<Jade!>> urlo. Aspetto, ma non arriva nessuna risposta. <<Jade, sono qui!>>
L'aria sembra piena di sussurri, ma non c'è nessuno attorno a me.
<<Jeff? Jade? Dove siete?>> Persino la faccia antipatica di L.J. mi sarebbe di conforto in questo momento, ma sono sola. Sono completamente sola.
<<Jade…>>
Non ci sono, se ne sono andati. Ma non ho idea del dove. Non so dove siano. Sono di nuovo sola, di nuovo senza un motivo per continuare a correre. Mi fermo. Di nuovo, è come se il sangue scivolasse fuori dalle ferite e l'aria abbandonasse i polmoni con un colpo secco. Sto per girarmi, ma una voce mi blocca.
<<Ma guarda un po' chi si rivede. Di nuovo qui?>>
Il mio respiro accelera. Il cuore prende il volo, tanto che temo possa uscirmi dal petto e rotolare a terra morto. Resto ferma, immobile, come se fossi di cera. Non può essere, non può essere. Non è possibile, non è vero. È solo un incubo, un maledetto massacrante incubo. "Ti prego fa che mi svegli, fa che mi svegli". Ma quando apro gli occhi sono ancora lì, nella foresta, il nulla davanti e il suo fiato sul collo, ancora. Mi giro.
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