Fine dei legami
Mi svegliò il telefono che alle 6.15 del mattino cominciò a suonare ininterrottamente. Erano mesi che non mi svegliavo più così presto. Risposi. "Parlo con il signor Mario Tufaro?" Risposi affermativamente alla voce femminile e cordiale che stava dall'altra parte della cornetta. Proseguì con tono mesto e compassato avvisandomi che purtroppo, quella notte, mio padre aveva avuto una forte crisi respiratoria, che i medici della casa di cura erano intervenuti immediatamente, ma che, purtroppo, il viaggio in ambulanza verso l'ospedale più attrezzato gli era comunque stato fatale. "Signor Tufaro purtroppo devo comunicarle con grande dispiacere che suo padre è deceduto questa notte alle 3.15...Dovrebbe venire per ritirare le sue cose e firmare i documenti".
Chissà perché quella notizia non mi sconvolse più di tanto. Forse me lo aspettavo o forse giunse come un bel sollievo... ora non avevo veramente più nulla di cui preoccuparmi se non di me stesso. Mi recai alla casa di cura, prima andai nella sua stanza dove qualche inserviente aveva già provveduto a sistemare i pochi effetti personali di mio padre in un sacchetto trasparente simile a quelli della spazzatura. Feci un controllo generale, presi il sacchetto e mi diressi verso la camera mortuaria. Era lì, disteso sul freddo lettino di ferro, con addosso un lenzuolo e sul volto un'espressione rilassata quasi a dire "Finalmente ti sei ricordato anche di me buon Dio."
Ad attendermi c'era un inserviente e accanto a lui un agente dell'agenzia funebre che subito mi propose i suoi servigi. Consegnai la divisa di mio padre affinché gliela indossassero, poi mi fecero accomodare fuori nell'attesa della vestizione.
Cercavo di fare mente locale, cercavo di pensare se ci fosse qualcuno da avvisare, ma a parte il gruppo pensionati di cui faceva parte, non c'era più nessuno. L'unico fratello di quattordici anni più grande era morto poco dopo mia madre, non aveva cugini neanche alla lontana, gli ero rimasto solo io, un figlio che non era stato al suo fianco per accompagnarlo verso la morte. Un figlio che era stato assente soprattutto da quando lui, pur di non darmi fastidio, si fece mettere in una casa di cura vendendo la sua abitazione pur di non pesare su di me. Quella casa che non avrebbe mai voluto lasciare. Fu quella la sua prima e unica casa, quella che insieme a mia madre scelse come dimora per tutta la vita. Una casa impregnata di ricordi, dove ogni angolo di muro trasudava vita vissuta.
Il funerale si svolse il pomeriggio seguente alle 15.30, la chiesa era semi vuota, metteva una tristezza inconsolabile. Una vita passata al servizio del paese e della famiglia che si conclude con un sacchetto di plastica e un prete noioso a dire messa. Alla fine della cerimonia, mi si avvicinarono alcuni dei miei ex impiegati, erano lì per me, per starmi vicino nel momento del bisogno e del dolore. Pensai in quel momento che forse non ero stato poi così inutile. Notai, ad un certo punto, che dal fondo della chiesa stava avanzando verso di me una donna vestita di nero, i capelli biondi raccolti e al suo fianco un bell'uomo dall'aspetto molto gentile. Mi raggiunse, mi guardò negli occhi e, con aria amorevole, mi porse le condoglianze aggiungendo sottovoce "Ma cosa ti sta succedendo? Come ti sei ridotto?"
Nonostante il male che le avevo fatto, Elena, si stava preoccupando per me. L'abbracciai forte, la ringraziai e le chiesi di perdonarmi. Lei rimase un po' perplessa poi mi salutò e mi disse di riguardarmi. Certo non mi aveva visto al meglio della mia performance: la barba incolta, i capelli arruffati alla bene meglio, mi ero messo addosso una maglietta grigia e un paio di jeans che non cambiavo da tre giorni... effettivamente facevo abbastanza ribrezzo.
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