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E' crisi!

Per prima chiamai Laura nel mio ufficio. Bussò delicatamente alla porta ed entrò col sorriso sulle labbra, lei era sempre stata una grande ottimista e sempre molto allegra, probabilmente avrà pensato che, finalmente, avessi qualche cosa per lei...

La feci accomodare, le offrii una tazza di caffè dalla macchinetta del mio ufficio, e cominciai a spiegare la situazione drammatica in cui versava l'azienda. Il sorriso lentamente sparì dal suo volto, notai che cominciarono a tremarle le mani: stava capendo dove sarebbe arrivato il mio discorso.

M'interruppe e con tono serio e preoccupato mi disse "Mario, ti prego, non dirmi che siamo arrivati alla fine?" Abbassai lo sguardo, era più forte di me, non riuscivo a dirle guardandola negli occhi gonfi di lacrime, che la stavo licenziando. Con un filo di voce le confermai i suoi sospetti. Lei rimase impietrita.

Gli occhi lucidi non fecero scappar via nemmeno una lacrima, per un minuto calò il silenzio... un silenzio assordante.

Aveva appena avuto una bimba stupenda alla quale diede il nome Maria, non so se lo fece per me o per altri motivi ma ricordo ancora quando m'invitò al battesimo. Mi fece sentire uno di famiglia, mi presentò a suo marito, Franco, il quale mi salutò abbracciandomi quasi come se fossi stato suo fratello. Erano una bella coppia e la bimba un inno alla gioia della vita. Laura continuava a lodarmi, non la finiva di ripetere a tutti che gran bravo capo fossi... sì un capo incapace di mandare avanti la propria azienda, un capo che non può mantenere le promesse fatte ai propri dipendenti.

Laura si alzò dalla sedia, mi venne vicino, mi toccò una spalla e con tutta la comprensione del mondo mi disse "Mario, stai tranquillo, capisco, Non ce l'ho con te, non potrei mai, anzi grazie davvero per questi anni." E così uscì dal mio ufficio, tornò alla sua scrivania e cominciò lentamente a sistemare le sue cose.

Scoppiai in un pianto infantile, non sapevo se ero più triste o più sollevato dalla reazione di Laura. Non credevo che i miei dipendenti fossero così tanto solidali con me, questo mi fece pensare che forse non ero poi così un fallito, ma la realtà dei fatti mi faceva comunque propendere all'idea del fallimento.

Chiamai gli altri quattro e comunicai a tutti la stessa cosa. Ebbero tutti una reazione di comprensione, ma leggevo comunque nei loro occhi, nei loro gesti che c'era tanta amarezza e tanta paura per un futuro sempre più incerto.

Alla fine del mese avevo svuotato l'ufficio, mi ero venduto tutto quello che potevo e con il ricavato riuscii a mala pena a coprire gli arretrati di affitto. Giorgia, la mia segretaria, mi fu accanto, mi aiuto ad archiviare tutte le scartoffie, mi fu di supporto nei momenti di rabbia, non mi lasciò mai solo e rimase con me fino all'ultimo. Quel giorno che girai per l'ultima volta le chiavi del portone d'ingresso, lei era lì con me.

Guardammo per l'ultima volta quel bel palazzo e ci salutammo. La ringraziai per tutto quello che aveva fatto per me in tutti questi anni, le chiesi scusa per aver assunto Sonia facendole credere che lei non fosse all'altezza delle mie aspettative, le diedi una lettera di referenze e poi la abbracciai talmente forte quasi da farle quasi mancare il respiro. Giorgia non trattenne le lacrime e tirando su col naso mi salutò per l'ultima volta ma senza dirmi addio "Mario, ci vediamo presto."

Quella giornata sembrò interminabile, salii in macchina e cominciai a vagare senza meta per le vie di Milano. A casa era inutile tornare, tanto non c'era nessuna mogliettina felice ad aspettarmi, non c'era una mamma, non c'era neanche un cane. Nessuno! Una casa squallida priva di calore ed emozioni.

Nel mio percorso mi fermai ogni tanto in qualche bar, e cominciai a bere, fino a che arrivai nell'ultimo pub intorno alle 22.30, mi sedetti in un tavolino ad angolo e ordinai birra e patatine fritte. Finite le patatine continuai a ordinare birra non ricordo nemmeno fino a che ora, so solo che mi risvegliai all'alba all'interno della mia macchina, probabilmente avevo cercato di andarmene ma, evidentemente, ero stato troppo ubriaco per farlo. Notai che avevo una mano gonfia e parecchio dolorante, poi un flash back mi fece tornare alla memoria i calci e i pugni sferrati contro la portiera della macchina. Scesi a verificare ed effettivamente la portiera era parecchio ammaccata! Furioso sferrai un ultimo calcio prima di rimettermi in macchina e... e niente, perché non avevo più un ufficio.


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