All Of You Are My Family (ff Vecchia)
Le nuvole bianche che si formavano davanti al mio viso a causa del mio respiro caldo nel freddo di quella notte di gennaio, le gambe mi imploravano di fermarmi, era oramai quasi un'ora che correvo.
Stavo firmando il contratto di lavoro per il remake della serie che da giovane amavo tanto come doppiatrice della figlia di uno dei protagonisti da me più idolatrati, che mentre scrivevo lentamente la mia firma ridevo alla mia ingenuità e al divertimento puro e semplice che avevo al tempo. Che quel divertimento in qualche modo ora era diventato il mio lavoro.
"Che c'è Romeo ti dà fastidio che rido da sola?" sussurrai al gatto rosso che si era svegliato dal suo sonno e si era steso sul tavolo.
Chissà se a quindici anni ho mai pensato che avrei doppiato qualcuno di quella serie, della serie che mi aveva unito alla mia migliore amica,che ce ne aveva fatto vivere di cotte e di crude.
Quando lo squillo del mio telefono accompagnato dalla vibrazione dello stesso mi fecero balzare sulla sedia,facendo correre Romeo via,non completare la mia firma e velocemente raggiungere il dispositivo.
E il motivo per cui ora sto facendo i chilometri in pigiama correndo verso l'ospedale,lasciando il contratto sul tavolo, afferrando chiavi e cappotto in tutta fretta, è proprio perchè quella telefonata alle tre di notte era stata come un fulmine a ciel sereno.
Ispirai a pieni polmoni appena raggiunsi le porte scorrevoli dell'ospedale, ma appena queste si aprirono, individuai il bancone informazioni e mi fiondai nella sua direzione.
Per i motivi sbagliati sapevo esattamente come funzionavano gli ospedali,le camere e gli infermieri, quindi blateravo con al mente altrove cosa stavo cercando,chi stavo cercando.
Aprii lentamente alcuni bottoni dell'impermeabile nero mentre il mio corpo reagiva debolmente allo sbalzo di temperatura di dentro a fuori. Tossii un paio di volte,giusto per essere sicura di non aver perso la voce,era diventata una delle mie abitudini a causa del mio lavoro.
L'infermiera al bancone era una donna con i capelli lunghi fino alle spalle neri,sembrava aver avuto una lunga giornata,aveva gli occhi stanchi e le reazioni tardive,ma i suoi occhi si illuminarono quando sentì le mie parole.
Corrucciò le labbra in un sorriso mentre mi accompagnava affrettando il passo verso la camera della persona che stavo cercando.
Le sue dita lunghe pigiarono il pulsante per il quinto piano mentre io mi appoggiavo maldestramente alle pareti dell'ascensore,nonostante sia una di quelle cose da non fare mai.
"Sei una sua parente?",chiese la dolce infermiera mentre si sistemava gli occhiali rosa sul naso, "No,è una mia amica,una mia grande amica",risposi con tono nostalgico,rilassato, tranquillo e pacifico,un tono associabile alle coccole sotto le coperte a gennaio davanti al camino.
Lei sghignazzò,all'inizio non capii sinceramente perchè ma poi, guardandomi con i suoi grandi occhi verdi disse, "Sei la terza persona che dice di essere sua amica, deve essere una persona davvero bella questa donna".
Sorrisi,le porte dell'ascensore si aprirono,era il mio piano,"Si,si lo è," dissi prima di uscire,guardando candidamente l'infermiera.
Non ebbi neanche il tempo di proferire parola quando due voci che riconoscerei anche in un'altra vita chiamarono il mio nome, e si alzarono all'unisono per avvicinarsi.
"Mica sono in ritardo?" dissi mentre mi grattavo il retro del collo, "No no tranquilla, io sono qui da una mezz'oretta e comunque non sono stata in grado di vederla", mi rassicurò Fortuna mentre prendeva il mio giubbotto e lo appoggiava su una delle sedie lì vicino.
Fortuna mi aveva salvato così tante volte, avevo e ho e avrò sempre fiducia in lei, mi ha lasciato vivere con lei quando mi avevano sfrattato dal mio appartamento, è corsa da me quando mi ero persa da sola a Roma e non mi aveva abbandonata quando pensavo che la mia vita era ormai in mille pezzi.
Cinque anni fa credevo che le mie paure più recondite, quelle di non raggiungere nulla nella mia vita, senza poter toccare neanche con un dito nemmeno uno dei miei obbiettivi.
Mi chiudevo in casa senza uscire mai,ordinando cibo d'asporto,dormendo solo,senza nessun tipo di contatto umano o emozione.
Un giorno sentii la porta cadere a terra,disturbando il mio sonno millenario, e senza avere neanche il tempo di capire cosa stava succedendo intorno a me, delle candide mani mi alzarono da terra tramite il collo della maglietta.
E incontrai quei dolci e bellissimi azzurri occhi che tanto conoscevo, che tanto volevo bene, pieni di lacrime.
"RIALZATI,COSA STA FACENDO LA DONNA PIU' FORTE CHE IO CONOSCA STESA A TERRA A BUTTARE SE STESSA? COSA STA FACENDO UNA DELLE PERSONE PIU' IMPORTANTE DELLA MIA VITA CHE MI HA AIUTATO A SUPERARE TUTTO?!"
Ricordo ancora la furia e la rabbia che vidi e sentii nelle parole di Martina. Fu la prima volta che la vidi così arrabbiata. Poi iniziò a piangere,mentre cercava di continuare a 'sgridarmi',e io inizia a piangere con lei.
Maria Sara ci accarezzò e abbracciò entrambe mentre eravamo diventate due fontane, e anche lei non era messa tanto bene. Ma infine ridemmo tutte insieme quando Salvatore da fuori la porta urlò qualcosa di simile a, "ma non vi stavate sbraitando in faccia tipo cinque secondi fa? Donne!".
Maria era riandata a sedere, probabilmente era molto stanca, il suo lavoro di regista le portava via molto tempo. Ancora ricordo la sua faccia quando mi presentai alle audizioni per doppiare in italiano uno dei film che aveva prodotto in america. Con il tempo si era alzata ancora di più, e non smentiva mai la sua grandiosa bellezza.
"Vuoi?" disse mentre mi porgeva un biscotto alle gocce di cioccolata, "E me lo chiedi anche? Certo che lo voglio" "Ehy,non puoi offrire la roba che è mia!" si lamentò poi Fortuna.
Eppure ero sicura che l'infermiera aveva detto di tre persone che avessero chiesto per questa camera, eppure qui vi erano solo Maria e Fortuna.
"Luisa?! Quando sei arrivata?!" sentii la voce che più mi ero sorbita per quasi quindici anni.
Maria Sara con una camicia mezza sbottonata, con un pantalone rosa, delle ciabatte imbarazzanti e vari snacks, presi probabilmente alle macchinette, mi guardava con aria incredula.
Io e Maria Sara abbiamo vissuto in un piccolo appartamento durante i nostri anni di accademia, poi lei partì per vedere una mostra a Parigi,e con un colpo di fortuna una casa editrice decise di produrre la sua storia.
Ci saremmo viste di persona solo due anni dopo,quando corse direttamente dalla Francia per svegliarmi dal mio coma in vita, rischiando quasi di perdere qualunque contratto e posto avesse lì.
Non accadde, ma fu capace di trasferire maggior parte del suo lavoro in Italia, facendo solo qualche trasferta ogni due mesi alle consegne delle nuove tavole. Visto che le piaceva tanto portarle di persona ai suoi datori di lavoro, e visto che la Francia era uno dei suoi posti preferiti.
"Appena arrivata,e visto che trovi dammi quel duplo che vedo da qui" dissi alzandomi infilando le mani nella busta e afferrando velocemente il dolce.
"Scroccona!" si lamentò chiudendo poi velocemente la busta, ci sedemmo poi entrambe accanto a Maria e Fortuna che sghignazzavano lontano.
Parlottavamo del più e del meno, ma era tangibile l'ansia che scorreva nelle nostre parole,nel nostro sangue.
Eppure sembrava che nessuno si permetteva di parlare. Quasi come se farlo potesse portare sfiga.
"Finalmente vi ho trovate!" una voce bassa destò la nostra attenzione dal fondo del corridoio, ovviamente era Salvatore, accompagnato inaspettatamente da Domenico.
Salvatore era il sindaco della città dove viveva, e stava diventando sempre più famoso per il grande progresso economico e sociale che stava dando alla piccola cittadina. Era un uomo felice e sposato, con due figli, ed in effetti era quasi strano vederlo senza di loro.
Ma una cosa era rimasta invariata, Salvatore era rimasto legato sempre di più con il tempo al nostro gruppo, più il tempo passava più sentiva il rapporto consolidarsi.
E non era affatto strano da più di tre anni passare tutti i Natali a pasqua con la sua famiglia, tutti insieme.
Domenico aveva un aria molto spaesata, erano anni probabilmente che non veniva qui. Erano ormai anni che viveva molto lontano da tutti noi, con il suo lavoro da stilista, e con i suoi soldi.
Però non dimenticherò mai quando mi sono ritrovata cinquecento euro in una lettera con solo scritto, non saprei che fare per aiutarti, quindi ecco a te, tutto ciò che ho.
Fortuna era quella che era rimasta di più in rapporti con lui nel bene e nel male, il suo lavoro come gestore di un negozio d'arte dove i clienti chiedevano solo i lavoro dell'artista che aveva venduto tutti i suoi capolavori per fare lo stilista, l'aveva molto avvicinata a lui.
"Allora? Avete qualche notizia di Martina?" disse Domenico mentre posava borsa e sciarpa sull'attaccapanni, "Nessuna stiamo aspettando qui, da più o meno quaranta minuti", risposero Fortuna e Maria Sara completandosi la frase a vicenda.
"Ma che diamine davvero? Martina è sola lì dentro?" tuonò Salvatore tra l'ira e la frustrazione, "Fossi io sindaco di questa città non lascerei mai accadere uno scempio simile", ridemmo tutti a ciò, e mi ricordò molto il Salvatore del liceo che era rappresentante d'istituto.
Si sedettero poi anche loro. E calò il silenzio, ognuno stava in silenzio, con lo sguardo basso, chi sul telefono,chi a mangiare, chi a giocherellare con i vestiti.
Forse stavamo tutti pregando, forse tutti maledicendo l'ospedale che non ci facesse vedere la nostra amica, o forse stavamo solo ammazzando il tempo sperando che il più grande sogno di Martina si avverasse senza conseguenze.
Come sorrideva quando scoprì di essere incinta, come piangeva di gioia, quanto tempo passò a pensare e a parlare con la bambina del loro futuro da donne da sole senza uomini.
Ognuno di noi l'aveva raccomandata a ciò a cui sarebbe dovuta infondo andare incontro, a essere una madre single così giovane.
Ma lei era convinta, convinta che avrebbe dato tutto per la bambina che aveva, che l'avrebbe cresciuta con tutto l'amore che lei aveva, che le avrebbe dato tutto ciò che lei aveva e avrebbero vissuto felici insieme.
All'improvviso un tonfo, simile a quello di una porta che si apre, e una voce roca lo accompagnò, "Se volete potete vedere la signora", ma l'uomo non fu neanche capace di finire il periodo che si ritrovo una mandria di venticinquenni che corrono come se fosse dei bambini verso la porta appena spalancata.
Una giovane ragazza, con il viso marchiato di lacrime, gli occhi lucenti azzurri come un cielo illuminato dal sole, ci guardava con il viso della pura felicità.
Nient'altro se non la felicità, nient'altro se non un rilassamento pacifico e tranquillo.
"E' così carina..." sussurrò Maria Sara mentre si avvicinava alla piccola bambina tra le braccia della ragazza, una piccola neonata che aveva da poco smesso di piangere, che era apppena nato in una famiglia dal rapporto indissolubile.
Io mi appoggiai sul letto di Martina mentre le accarezzavo la schiena, Salvatore fece lo stesso. Fortuna stava piangendo a dirotto sulla sedia accanto al letto, mente Maria cercava di nascondersi dalle sue stesse lacrime mentre era appoggiata alla porta, Domenico era vicino al comodino che sorrideva nell'espressione più dolce e carina che io mai gli avessi visto fare.
"Sapete," la voce un pò strozzata e allo stesso tempo dolce di Martina ci richiamò tutti, "io sono finalmente certa e convinta di tutto questo.
Cosa vorrei di più, se non lei, e la mia famiglia:"
Tutti ci guardammo all'unisomo, sorridemmo, ricordammo memorie, pensammo agli altri, alle amicizie passeggere,ai rivali,agli amori perduti e a noi.
"Voi".
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