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CAP IX -madame butterfly and its lone blues-

Una donna in vestaglia di seta blu, seduta sul ciglio di una terrazza con le gambe sospese nel vuoto, osservava il sole all'orizzonte che abbandonava la City. La vestaglia si muoveva alle sue spalle, sospesa dal vento in ritmi irregolari, come in una silenziosa melodia.

Fumava e pensava.

Cominciò a cantare, sommessamente, un vecchio blues. La musica era stato un suo grande sogno, che si era infranto contro la brutalità del quotidiano, nel quale, per lei, non c'era stato né posto né tempo per sognare. Si mise in piedi sul ciglio della terrazza e buttò la sigaretta nel vuoto. La vide cadere e aspettò. 40 metri, all'incirca, pochi grammi il peso della sigaretta, una manciata di secondi per arrivare a toccare la strada. La metà del tempo, o forse meno, ci avrebbe impiegato una donna in vestaglia di seta blu, sui 50 kg di peso... 40 metri sempre. In quel momento le venne un lieve giramento di testa, fece appena in tempo a mettere un piede dentro per accasciarsi di peso sul pavimento e non precipitare di sotto. Si portò una mano sulla fronte per poi con la stessa tirarsi indietro i lunghi capelli rossi. Ansimando si rimise in piedi a fatica, prese il pacchetto di sigarette che aveva con sé e lo scagliò più lontano che poteva: pochi metri. Guardò di nuovo il vuoto e pensò:

«Non ancora! Non oggi.»

Lei era Mary. Le suore che l'avevano trovata davanti al convento l'avevano chiamata così sperando che il nome della Santissima Vergine avrebbe potuto guidarla nel futuro. Ma Mary non sarebbe stata né santa né vergine.

Erano le 20:30.

Tra un po' doveva iniziare a lavorare, rientrò dentro casa. Si fece una lunga doccia dopodiché cominciò a truccarsi. Era bellissima: gambe lunghe e affusolate, due petali rosa carminio al posto della bocca, oceani negli occhi e due seni che da soli sfidavano, senza l'aiuto di ingannevoli push-up, le leggi della gravità. Era la donna che chiunque avrebbe voluto... e chiunque poteva averla per 1000 dollari: una puttana d'alto bordo, insomma. Vicino allo specchio una busta contenente i risultati delle analisi che aveva fatto recentemente. Era da un po' di tempo che si sentiva male, e per questo era andata a farsi vedere all'ospedale. Mille cose aveva pensato di avere...ma non quella cosa. Aprì un cassetto del comò per deporvi la busta. Il campanello della porta attirò la sua attenzione: primo cliente. Andò ad aprire dimenticandosi completamente di chiudere quel cassetto.

Guardò dallo spioncino, era una cosa che faceva sempre, dato i pazzi che giravano: era Beast.

Un tempo Mary batteva per strada per conto di un tale che si prendeva l'80% dei suoi guadagni. In più il tale aveva anche la mano pesante e se un giorno percepiva anche solo un dollaro di meno non si faceva scrupoli a massacrarla di botte: un fottuto pappone. Durante una notte piovosa un uomo pelato, in impermeabile e con un ombrello in mano le si avvicinò, mentre lei, appoggiata ad un lampione, zuppa fradicia, con un occhio nero, piangeva. L'uomo rimase a qualche metro di distanza e le chiese:

«Quanto vuoi?»

Sebbene quello fosse il primo e, probabilmente, ultimo cliente quella notte, visto lo stato pessimo nel quale versava, Mary non riuscì a non rispondergli in tono sarcastico:

«Ti piace scoparti i panda, amico?»

«I panda hanno tutti e due gli occhi neri, tu soltanto uno.» Disse lui.

Mary sbottò di colpo a ridere mentre la pioggia continuava a bagnarla. Poi, vedendo che lui invece era rimasto serio, si riprese un attimo e gli disse:

«D'accordo signor Darwin. Mezz'ora con me sono 100 dollari.»

«E per tutta la notte?»

Nessuno l'aveva mai chiesta per tutta la notte, nessuno l'aveva mai voluta per così tanto tempo. Non sapendo cosa dire, tentennò:

«Beh... tutta la notte...non saprei... facciamo, non so...diciamo...»

«Diciamo 1000?» Finì lui.

Lei rimase a bocca aperta per un po', lui le si avvicinò e porgendole l'ombrello le disse:

«Lo prendo per un sì.»

La pioggia ora non la bagnava più.

Mary aprì la porta, e vide che Beast non era solo: insieme a lui c'erano un ragazzo e una ragazza, tutti e due sulla trentina che si stringevano tra di loro in quello che era più di un semplice abbraccio.

«Lo sai che non mi piacciono le orge, no?» Disse lei scherzando.

«Ti ricordi quel favore che ti feci?» Chiese lui.

Certo, Mary se lo ricordava benissimo, impossibile dimenticarsene.

«Sì.»

«È arrivato il momento di ricambiarlo.»

«Cosa devo fare?»

«Ospitarci per questa notte.»

Si spostò dall'uscio e gli disse:

«Entrate.»

Li fece accomodare nella stanza da pranzo, poi chiese loro se volevano qualcosa.

«Un caffè.» Disse il ragazzo.

«Zucchero?»

«Sì, tre cucchiaini, grazie.»

«Io prendo solo caffè italiano ragazzo, fidati che tre cucchiaini sono troppi.»

«Va bene, faccia lei, mi fido.» Disse sorridendo. Sembrava un bravo ragazzo.

Mary andò in cucina a prepararlo, Beast la seguì. Prese la moka e la lavò, l'ultimo caffè se l'era fatto qualche giorno addietro e i residui si erano incrostati sul fondo. Mentre era intenta a pulire la caffettiera lui le parlò:

«Ti ringrazio.»

«Figurati! Ben poca cosa rispetto a quello che facesti tu per me.» rispose lei accendendo il fornello più piccolo del gas.

«Non è poca cosa se sapessi chi è lei.»

«La ragazza?»

«Sì.»

«E chi sarà mai!» Fece lei sorridendo.

«La moglie del defunto Nicolas, figlio di the Boss.»

«Defunto?» Chiese lei con fare sorpreso, il sorriso le era già sparito.

«È stato ucciso stamane.»

«E chi...»

«Lei.»

Cinque minuti di assoluto silenzio.

Il caffè iniziò ad uscire fuori, Mary prese una tazzina, ci mise un cucchiaino di zucchero e ne versò dentro due dita; poi, guardando la bestia, disse:

«Sì, hai ragione, con questa siamo pari.»

Nel cielo, intanto, delle gigantesche nuvole plumbee si erano ammassate, in lontananza i primi lampi iniziavano a illuminare, per brevi attimi, parti della City . Lei diede un'occhiata fuori e disse:

«Che peccato, e pensare che era una così bella giornata. Mi sa che tra un po' verrà una tempesta.»

«La tempesta è già iniziata.» Ribattè lui e, alzandosi, raggiunse i ragazzi nella camera da pranzo.

La tempesta... come quella notte, pioveva che Dio la mandava.

Un uomo con un ombrello e una puttana con un occhio nero si fermarono davanti ad un piccolo motel.

«Qui andrà bene.» Disse lui.

«Per me un posto vale l'altro.» Fece lei prendendo dalla borsetta uno specchietto e il trucco, cercando di darsi una sistemata.

«Faccio schifo stasera!» esclamò con rabbia. Mary sperava che lui dicesse qualcosa come «Non è vero», «Sei bellissima comunque.»... invece: niente. Osservandolo bene, sotto l'insegna intermittente al neon del motel, notò che era un po' teso e le venne spontaneo chiedergli col sorriso:

«È la tua prima volta vero? Con una "libera professionista" intendo.»

Lui non rispose ed entrò dentro velocemente: sì era la sua prima volta.

Presero una camera, lei stava cominciando a spogliarsi, quasi meccanicamente, tante erano le volte che l'aveva fatto, quando lui la fermò:

«Mettiti seduta sul letto.»

«Vestita?»

«Non ripeto le cose.»

«D'accordo, d'accordo, scusa. Ho capito, me li vuoi levare tu i vestiti vero?» Disse guardandolo con fare ammiccante. «Hai pagato: sei il padrone. Ecco qua.» E si buttò di peso sul letto.

Lui si tolse l'impermeabile, poggiò l'ombrello in un angolo, si levò le scarpe e si sdraiò, richiudendosi su se stesso come un bambino nell'utero, mentre poggiava la sua testa sulle gambe di lei. Mary rimase inizialmente interdetta, non sapeva cosa fare, poi pensò che a quell'uomo, dallo sguardo così cattivo, forse, nessuno doveva voler bene, o peggio ancora, nessuno gliene aveva mai voluto. Tutti avevano sempre pagato per del sesso, lui per un po' d'affetto.

Cominciò ad accarezzargli la testa.

«Se racconti questa cosa a qualcuno...» fece lui minacciosamente, ma lei non lo lasciò finire.

«No, non preoccuparti, sono una persona molto discreta.»

Lunga pausa.

«E poi non ho nessuno a cui raccontarla.»

E così, da quella notte, in tutte le notti nelle quali pioveva, un demone andava a trovare un angelo per dimenticare, per qualche ora, il sangue e il piombo quotidiano, e per ricordarsi, vagamente, di un sentimento mai conosciuto.

I due ragazzi, stanchi e provati dalla giornata, si erano addormentati sul divano. Mary aveva la tazzina di caffè bollente in mano, cominciò a sorseggiarlo soffiandoci sopra. Poi, rivolgendosi a Beast, disse:

«Andiamo di là, lasciamoli riposare.»

Si recarono in camera da letto, lei si sdraiò appoggiando la tazzina per terra, lui diede un'occhiata intorno e disse:

«Un po' spoglia rispetto al resto della casa.»

Infatti lo era: un letto matrimoniale, un comodino, un condizionatore e una abat-jour. Tutto qua.

«Mi piacciono le cose sobrie sai.» Gli rispose iniziando ad arricciarsi con l'indice ed il medio le punte dei suoi lunghi capelli rossi. Mentiva, naturalmente. Quello era il suo posto di lavoro, un lavoro che non sopportava, ma l'unico che sapeva fare.

«Stronzate.» disse lui accennando un sorriso forzato. «Tu e la sobrietà siete due cose completamente diverse.»

«E tu e quella donna?»

«Anche.»

«Perché la stai proteggendo allora?»

«Assomiglia a una persona che non ho mai incontrato.»

«Ti piace?» Gli chiese Mary, sentendosi subito una scema per la domanda che aveva fatto, una cosa del genere l'aveva forse chiesta in seconda media, quand'era ragazzina, ad un bambino della sua classe, da allora mai più. Arrossì un po' e scostò lo sguardo da quello di lui.

«In un certo senso.»

«In che senso?»

«Non nel senso che intendi tu.» Disse lui sedendosi sul bordo del letto, mentre lei, con la grazia di una pantera, gli si avvicinò. Fece scivolare le mani sotto la sua camicia a righe, iniziando a perlustrare la sua schiena, mappa di cicatrici che conosceva a menadito.

«Che stai facendo?» Le chiese. Nella sua voce si percepiva un lieve filo di piacere.

«Niente. Controllo se hai qualche buco in più. Sai com'è... è da due mesi che non vieni a trovarmi.»

«No, nessun buco.» Rispose mentre iniziò a slacciarsi la camicia. A quel punto lei si fermò.

«C'è una cosa che devo dirti.»

Sì! Glielo doveva dire.

«Non puoi dirmela domani?»

Domani magari non sarebbe riuscita a ritrovare il coraggio.

«No. Ma...»

Ma i loro corpi iniziarono a cercarsi, mentre fuori pioveva.

«Ma se proprio insisti... sì...»

Sì! L'indomani glielo avrebbe sicuramente detto.

Che aspettava un figlio da lui.

Sicuramente, o meglio...

Forse.

Mary ne era certa: il bambino o bambina che stava iniziando a portare dentro, era il suo. A tutti faceva usare il guanto tranne che a lui, perché lei era l'unica donna con la quale aveva rapporti. E prima di farlo con qualsiasi cliente, controllava minuziosamente che non vi fossero imperfezioni o buchi nel contraccettivo. Quindi... non poteva che essere suo. Una puttana come madre e un killer come padre: che bella famiglia del cazzo sarebbe stata. Si poteva crescere un bambino così? No. Mary ne era certa. Per questo era salita sul bordo di quella terrazza. Ma non poteva buttarsi, aveva un debito con lui, che quella notte, però, aveva ripagato. Il giorno seguente doveva trovare le forze per dirgli che era incinta, o non si sarebbe limitata solamente a vederlo, il vuoto, la prossima volta.

Il suo vecchio debito...

Mary era riuscita con il tempo, a mettere un bel po' di soldi da parte, di nascosto dal suo protettore. Voleva comprarsi una casa tutta per sè, era una cosa che aveva sempre desiderato, avere qualcosa di suo. Ma il bastardo la scoprì e, per fargli passare la voglia di fregarlo, la ridusse proprio male: 5 mesi di ospedale. Beast andò a trovarla un paio di volte quando riprese conoscenza: una per chiederle chi era stato a farle questo, la seconda per dirle che non avrebbe più dovuto temere nulla. Quando uscì dall'ospedale venne a sapere che il cadavere del suo pappone era stato trovato in un parco in condizioni orribili, con un consistente mazzo di banconote da 50 dollari in bocca e un altro messo su per quella parte del corpo in cui non batte mai il sole. Solo che il secondo mazzo non era propriamente di banconote, e definirlo mazzo sarebbe sbagliato, era più una "mazza": la sua. Il medico legale che si occupò dell'autopsia aggiunse una nota:

«In 25 anni di carriera non avevo mai visto nessuno ridotto in questa maniera.»

E così, da quel giorno, Mary si mise in proprio, riuscendo a comprarsi una bel attico all'ultimo piano di una palazzina, che arredò nei minimi particolari, tranne la camera da lavoro.

La mattina seguente lei fu la prima a svegliarsi, mentre sia i ragazzi che la bestia continuavano a dormire profondamente. Andò in cucina per preparare la colazione. Erano le 7:30. Quella di alzarsi presto era stata più una regola che un'abitudine, inculcatagli nella testa dalle suore quand'era piccola, insieme a tante altre, la maggior parte delle quali col tempo aveva smesso di rispettare, o completamente dimenticato. Morse il primo biscotto inzuppato per dovere nel latte e cioccolato, e pensò che il temporale della sera prima doveva esser stato così forte da tenere lontani tutti i porci della City da casa sua, perchè nessun altro cliente, a parte i tre fuggitivi, che proprio clienti non si potevano chiamare, le aveva fatto visita.

Amen.

Una notte senza profitto come quella, anche se molto di rado, poteva capitare.

Qualcuno bussò alla porta, mandò giù il latte freddo tutto d'un fiato e andò a vedere chi fosse... l'orario delle visite era terminato da un pezzo. Guardò di nuovo dallo spioncino: era Ernest, un piccolo spacciatore che ogni anno metteva da parte mille dollari per concedersi una sola notte con lei, 365 giorni di risparmio per 2 ore di sesso che lui, erroneamente, mischiava con un po' d'amore. Gli aprì.

«Erny, buondì! Lo sai che finisco alle 3 no?»

«Sì, lo so, scusami.» Disse titubante «Ma mi è successa una cosa... posso entrare per parlartene? 5 minuti soltanto.»

Mary ci pensò un attimo, poi aprì completamente la porta e gli disse:

«D'accordo! Ma che siano 5 minuti! Seguimi.»

Mentre i due si stavano dirigendo in cucina, lui buttò un'occhiata furtiva nella camera da pranzo, dove i ragazzi stavano riposando.

«Ah! Hai ospiti vedo.»

«Sì! Dai vieni.»

Arrivati, lo fece accomodare su una sedia:

«Allora Erny... che cosa ti porta alle 7:30 di mattina da me?»

In realtà avrebbe voluto dire: «Allora Ernest...perchè sei venuto a rompermi i coglioni che non ho alle 7:30 del mattino?», ma si contenne. L'autocontrollo era un'altra delle poche cose che gli erano rimaste del retaggio delle suore, e poi lei ci teneva che, nonostante il lavoro che faceva, gli altri la vedessero comunque come una gran signora.

«Mi hanno derubato. Qualcuno mi ha dato una botta in testa , ho perso i sensi e quando mi sono svegliato non avevo più 400 dollari.»

«Mi dispiace, ma...»

«Quei soldi li avevo messi da parte per la notte con te. Lo faccio ogni anno lo sai.»

«E tu giri con 400 dollari in sac...» oddio saccoccia non si poteva sentire, si corresse subito «Volevo dire in tasca?»

«No, è che stavo venendo da te e...»

«Senti, non mi interessa, potevi girare anche con tutti i soldi del mondo. I cinque minuti stanno passando, dimmi perché sei qui.» fece lei iniziando a far ticchettare le sue unghie sul legno del tavolo.

«Me lo puoi concedere uno sconto? Solo per...»

«Ciao, Erny, è stato un piacere» rispose lei esortandolo ad alzarsi dalla sedia «La mensa per i poveri è dall'altra parte della città. Torna pure da me quando li avrai tutti, i soldi.»

«Ma...»

«Niente ma...» e lo spinse verso l'uscio di casa. Ernest riuscì a guardare di nuovo nella sala da pranzo, stavolta la sua attenzione cadde sulla ragazza.

«Ma quella... io...»

«Tu?»

«Io... mi sembra di averla già vista, ne sono quasi sicuro, ma dove?»

«Nei tuoi sogni forse. Giusto lì perché è troppo bella per te.»

«No, non nei sogni... ma dove?»

«Erny, ciaooo. Dai su, ho delle cose da sbrigare.»

«Eddai, ti prego, una volta sola. Uno sconto. Sono un tuo affezionato, lo sai.»

«Ti ho detto NO!»

Iniziarono a discutere, mentre lei cercava di fargli fare quell'ultimo passo all'indietro, necessario per chiudere la porta.

«Ehi! Tutto bene gente?» Era il ragazzo che si era svegliato, e stava raggiungendo Maria per vedere con chi stesse parlando.

A quel «Tutto bene.» Ernest incespicò all'indietro, come se quella voce gli fosse familiare, l'aveva già sentita, e quella donna...

Mary gli sbattè il portone in faccia con una violenza tale che echeggiò per tutta la palazzina, come un piccolo colpo di cannone.

«Chi era?» Domandò il ragazzo.

«Niente, niente... un mendicante.» Disse lei.

«Un mendicante?» Ripetè lui sbadigliando.

«Sì. Di sesso.» Gli rispose ridendo, poi rimettendosi a posto la vestaglia gli chiese:

«Ho visto come la abbracciavi ieri, la ami vero?»

«Sì e non mi stancherò mai di dirglielo.»

«E lei te lo dice... che...»

«Che mi ama? No, non me l'ha mai detto.»

«Ah ragazzo, ragazzo, se posso...»

«No non puoi, so già cosa vuoi dirmi e ti voglio anticipare subito dicendoti che a volte non c'è bisogno di parlare per dire le cose: le persone, la maggior parte delle volte, comunicano con il proprio corpo o con i loro silenzi le loro emozioni.»

«Ti ripeto, se posso...»

«Tu, ad esempio!»

«Io?»

«La tua spensieratezza e allegria le usi come maschere per nascondere la tua tristezza.»

Lei non ribatté più, le passò la voglia di chiacchierare e se ne andò silenziosa, e anche un po' stizzita, nella sua camera da lavoro. Beast si stava rivestendo. Ora! Doveva dirglielo ora.

«Senti...»

«Stiamo levando le tende, non preoccuparti.» la anticipò erroneamente, mentre si stava allacciando i bottoni della camicia a righe.

«Dove andrete?» Cretina, cretina, cretina. Non era questo ciò che doveva dirgli.

«Lontano dalla City... non so.»

Questa volta sarebbero passati molto più di due mesi, prima di poterlo rivedere, ne era certa, ammesso che fosse riuscita a rivederlo vivo e non su qualche necrologio.

«Senti...»

«Sei pronto?» chiese il ragazzo entrando.

«Ho fatto. Possiamo andare.» Poi, guardandola, «C'era qualcosa che mi stavi dicendo?»

Bene! Questa era la sua occasione! Aspettò qualche attimo, cercò di farsi forza, poi gli disse:

«Se io dovessi rintracciarti...» niente. «Più che altro per sapere se ce l'avete fatta, se state bene... Come faccio?»

Beast domandò al ragazzo:

«Bill, le puoi dare il tuo numero?»

«Certo» disse lui «e poi è il minimo che possa fare per scusarmi dopo le cose brutte che ti ho detto stamattina, Mary.» E scrisse il suo numero su un foglietto di carta che poi passò nelle belle mani di lei.

«Perché, che le hai detto?» Chiese Ilary, con tono di rimprovero.

«Niente, niente.» Disse lei, sorridendo «Solo...tutte cose vere.»

Si salutarono.

Chiuse il portone di casa, e appoggiò la schiena a quest'ultimo, per poi scivolare lentamente per terra, dove si mise a piangere. Stette lì una buona mezz'ora, non piangeva così tanto dai tempi della seconda media, quand'era ragazzina, e un bambino della sua classe non aveva contraccambiato il suo amore. Si alzò, dirigendosi verso la terrazza... ma il campanello squillò di nuovo: era tornato indietro, ne era certa. Corse e, inciampando nel tappeto in corridoio cadde.

«Arrivo, arrivo!»

Era lui, aveva capito qualcosa ed era tornato indietro per parlarle. Ne era sicura.

Si rialzò dolorante, il campanello continuava a squillare. Aprì la porta, senza vedere dallo spioncino stavolta, e disse:

«Lo sapevo...» ma... non era Beast.

«Cosa sapevi bella signora?» La voce roca era di un uomo sulla trentina, vestito nero, occhiali scuri, guanti in pelle.

Mary stava per richiudere, ma lui fu più svelto. Diede un calcio alla porta, con una forza tale, che la fece volare a qualche metro di distanza, mandandola a finire contro uno specchio nel corridoio, incrinandone leggermente la superficie.

«È permessooo?» urlò lui entrando dentro.

«Che vuoi tu da me? Chi sei?» fece lei terrorizzata.

«Un amico di un amico, non preoccuparti» disse mentre ispezionava velocemente la casa «o meglio: un amico di un amico che non è più mio amico, perché ha tradito tutti, ma proprio tutti sai?» Quello sarebbe stato un ottimo momento per scappare «E si è messo a fare il difensore di due disgraziati la cui vita sarà più breve di quella di una farfalla! Oh mio Dio, ma che poeta che sono!» ma le gambe di Mary non riuscivano a muoversi, era paralizzata dalla paura. Quell'uomo era completamente pazzo.

«Uffaaa!» Disse lui canticchiando. E poi, prendendole i capelli con la mano: «Allora ti voglio raccontare una bella favoletta prima della buonanotte.»

«Ma chi sei tu?»

«Ssshhh, non interrompermi ti prego. Sono molto suscettibile. Allora, senti questa, che è proprio bella... stavo dicendo... ah! L'amico, che non era più amico di nessuno tranne che di due sfigati, riuscì a far perdere le proprie tracce al suo vecchio capo, che era molto adirato con lui, ma soprattutto era incazzatissimo con la nuora, che le aveva ucciso il figlio. Il boss sparse la voce a tutti, ma proprio tutti i suoi uomini. E un bel mattino, un piccolo spacciatore che non era riuscito a farsi una fregata con una puttana, per 400 dollari che gli erano stati rubati da un tipo, vende un'informazione per...indovina quanto? Yesss, 400 dollari, dicendogli che sia il tipo, che la nuora del boss erano tutti e due...» e indicandola come uno showman televisivo di uno in quei programmi di serie c «A casa della puttanaaa! Ma...» ridivenne serio improvvisamente «io qui non vedo proprio nessuno... Dove sono?» Le fece sbattere la testa: lo specchio si incrinò ancor di più.

«Ma chi?»

«Dove sono?» Altra botta, la crepa cominciò ad allargarsi.

«Io... non lo so.»

«DOVE CAZZO SONOOO?» Questa fu la più violenta di tutte, lo specchio andò completamente in frantumi. Una piccola pioggia di frammenti cadde davanti al suo volto, e in quest'ultimi lei riuscì a vedere riflessi tante volte i suoi occhi terrorizzati; poi il mondo intorno a lei iniziò a sbiadire a mano a mano, fino a che non svenne, sentendo lui che le diceva:

«Buonanotte.»

...

«Mary...»

Lentamente, dopo un tempo imprecisato, riprese i sensi.

«Mary, rispondimi...»

Una voce familiare la stava chiamando.

«Mary, sei viva?»

Era Beast: al telefono in vivavoce, la cornetta ce l'aveva in mano il pazzo.

«Eccola, eccola.» Disse lui tutto eccitato «Su bella signora, ho trovato questo numero ben stretto nelle sue mani, l'ho fatto e... indovini chi mi ha risposto? Suvvia dica qualcosa al nostro amico comune.»

«Sono viva.» il cuore le sembrava che stesse a scoppiare.

«Ooooh! Vedi che non dico bugie, caro il mio ex-collega? Ah e ti risparmio frasi del tipo» e modificando la sua voce, in un'imitazione non molto riuscita di John Wayne « "Se le hai torto un solo capello..." o "Se le hai fatto del male..." o fac-simil minchiate. Perché del male, io a lei, ne ho fatto... e pure tanto. La poverella ha un taleee mal di testa ora.» si toccò ambedue le guance, in una finta espressione di dispiacere. «Ma se tu ora non mi ascolti... la testa non ce l'avrà più la tua cara puttanella» estrasse una pistola e la gliela puntò dritta sulla tempia.

«No, no, no ti prego...» disse lei singhiozzando.

«Cosa vuoi?» Chiese freddamente Beast.

«Tu, solo tu.» rispose lui e continuando «È ora di stabilire chi tra noi due è il migliore non credi? Di quegli altri due stronzi me ne potrò occupare anche più tardi. Ma è te che voglio, il tuo sangue.» Nel dire questo leccò la canna della sua pistola. «Lascio a te la scelta del posto del duello.»

Vi furono lunghi e interminabili secondi di silenzio, poi la bestia rispose:

«Il teatro abbandonato "Phoenix" tra due ore, alle 14:00.»

«D'accordo. Sarò lì, e porterò con me i miei 2 ostaggi.» Disse ridendo.

«Ma che stai...»

«Sai, frugando per la casa, ho trovato delle analisi in un cassetto aperto... la signora è incinta.»

Continuò a ridere ancora più sguaiatamente poi le cominciò a dire:

«Ma sai chi è il padre o è un bastardello?» Ripetendo la stessa frase tante, tantissime volte, in una specie di odiosa cantilena.

Nonostante Mary fosse disperata, non riusciva ancora a trovare la forza per dirglielo, poi il pazzo la fece finita, e fu in quel momento che lei sentì la bestia sospirare, piano piano, quasi impercettibilmente, ma lei lo sentì. Si ricordò quello che le aveva detto il ragazzo riguardo a come a volte, tramite i silenzi, comunichino le persone, senza bisogno di parlare. E fu quel suo sospiro, così caldo, così pieno di preoccupazione, che le diede la forza per urlare:

«È TUO FIGLIO!»

«Wow! Wow! Wow! Signori e signore! Che colpo di scena!» disse il pazzo. «Mi raccomando, sii puntuale, odio da morire ritardatari, e qualcuno potrebbe morire per il tuo ritardo.» e chiuse la telefonata senza dare il tempo alla bestia di controbattere.

«Su, forza, alzati!» la prese sottobraccio, trascinandola fuori dalla sua casa.

Mary era riuscita finalmente a dirglielo, ma il vuoto non era scomparso, stava ancora lì: tempo di caduta 2 ore, altezza... infinita.

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