Chào các bạn! Vì nhiều lý do từ nay Truyen2U chính thức đổi tên là Truyen247.Pro. Mong các bạn tiếp tục ủng hộ truy cập tên miền mới này nhé! Mãi yêu... ♥

1-Summer Is The Paradise

NYX🌴

-Nyx!!! Svegliati o fai ritardo!!-

Erano queste le parole che ogni mattina uscivano dalla bocca di mia madre.

E ogni mattina era l'inferno. Entravi in bagno e ti prendevi un infarto che avrebbero dovuto ricoverarti, non appena ti guardavi allo specchio.

Avevi due occhiaie manco ci fosse passata una gru sopra da quanto erano profonde, il naso raffreddato perché la sera prima ti eri dimenticata di chiudere la finestra e ti era entrata l'ira di Giove in camera e in più eri bianca cadavere come se fossi appena uscita dalla bara.

E poi, non parliamo dei vestiti.

Nessuno scienziato ha mai capito perché magicamente la mattina non trovi un outfit degno di essere indossato. Einstein si rivolterebbe nella tomba.

Cioè, qualsiasi pantalone, t- shirt o felpa bella sembrava fosse stata risucchiata dal buco nero e passavi metà mattina a cercare qualcosa di indossabile.

Poi quando trovavi quell'unica cosa decente te la indossavi tutta la settimana e ci cadevano sopra qualsiasi cosa. Pittura, Peanut Butter, ti macchiavi perfino con gli evidenziatori per studiare.

Però, non potevi mica abbandonare la missione. Mettere a lavare l'unica cosa decente che indossavi non era una possibilità.

In pratica, la mattina sembrava che fosse passata tua nonna e avesse scambiato i suoi vestiti con i tuoi.

Poi, di corsa scendevi le scale e puntualmente c'era quel gradino di merda che ti guardava e pensava: "ma guarda tu sta deficiente che sta sempre in ritardo, ora la faccio inciampare e rompere la caviglia così non ci scassa più il cazzo".

E così cadevi a faccia per terra e iniziavi a maledire chiunque ti passasse per la testa.

Ma non ti potevi fermare. No, dovevi correre.

Allora ti alzavi e mezza zoppa arrivavi in cucina, ti reggevi all'isola e afferravi il caffè di Starbucks perché col cazzo che ti mettevi a preparare il caffè con la caviglia sfasciata, la felpa di tua nonna e con un ritardo megagalattico.

Poi, appena eri sicura di aver ingoiato abbastanza caffè dà non addormentarti alla lezione di storia, risalivi le scale saltando il gradino bastardo.

Rientravi in bagno e afferravi il correttore per non rischiare di mandare in coma chiunque ti guardasse, il mascara e poi ti veniva la malsana idea di metterti pure qualcosa sulle labbra.

Così stavi mezz'ora a pensare se fosse una buona idea o meno, a farti mille domande, a chiederti perfino se Dante sarebbe stato d'accordo con te.

Poi alla fine mandavi a fanculo Dante e la sua divina commedia che, mannaggia a lui, dovevi passare l' anno a studiarla a memoria, e afferravi il rossetto.

E, ovviamente, ti chiamava la tua amica per dirti che era sotto casa e tu ti macchiavi tutta la guancia con il rossetto appena sentivi la musichetta del tuo iPhone.

Allora ti pulivi e correvi giù ma il gradino bastardo ti ri-guardava e pensava: "e ma ora hai proprio rotto le palle, ti faccio cadere e sta volta ti mando in coma così la prossima volta ci pensi due volte a camminarci sotto come se fossimo degli zerbini".

E così, ricadevi e maledivi la tua vita e quel gradino.

Ma non potevi fermarti. Dovevi solo fare un passo, raggiungere le tue scarpe e infilartele.

Allora ti alzavi zoppicante e andavi all'ingresso.

Le scarpe. Un altro dei mille problemi della mattina d'inverno.

Perché puntualmente le tue amate converse erano sparite. C'erano solo le scarpe di tua madre che, per carità di Dio, non potevi mica indossarle altrimenti ti avrebbero bullizzato per i prossimi vent'anni e saresti morta in un lettino d'ospedale con il dottore che ti guardava e ti diceva: " eh si, però anche tu che ti metti quelle scarpe ci credo che hai passato proprio una vita di merda,esclusa da tutti".

Poi di fianco con sguardo confuso notavi le tue scarpe di quando avevi quattro anni che portavi il numero 12.

Che poi da dove erano spuntate non lo sapeva nessuno, non le vedevi da dieci anni ma giustamente la mattina in cui sei in ritardo te le ritrovi lì nel posto in cui prima c'erano le tue scarpe.

Magari era stata ancora tua nonna, che quando è passata e ha rubato i tuoi vestiti ha ben pensato: "embè, le ho fottuto tutti i vestiti, perché non fottergli anche le scarpe? Poi le lascio le sue scarpette di quando aveva quattro anni così non sembra che sia passata a rubarle le cose".

Iniziavi a correre per casa, cercando disperatamente le tue converse mentre la tua amica suonava da mezz'ora al citofono.

Poi come un'illuminazione ti ricordavi che forse erano in camera tua ma non potevi mica salire e riscendere le scale con quel bastardo del gradino.

Così, piangendo immaginandoti la faccia dei tuoi compagni, ti infilavi le scarpe di tua madre e uscivi di casa.

La tua amica salita in macchina ti squadrava e ti diceva: "ma che scarpe ti sei messa?"

E tu con le lacrime agli occhi volevi confessare, volevi dirgli di quel gradino bastardo che ti voleva ammazzare ma giustamente non volevi che ,invece di portarti a scuola, ti portasse in un manicomio.

Guardavi la strada malinconica ,immaginandoti le tue belle scarpe e poi sussurravi: "andiamo a scuola, non voglio parlarne. Fa troppo male".

Ma ora questo inferno era finito. Niente più scuola, niente più gradini bastardi (no, quelli rimangono sempre), niente più stress, niente più ritardi, niente più interrogazioni...

Già, perché era arrivata l'estate.

L'estate, quella stagione che chiunque ama. I pomeriggi sdraiata su alcune sdraio in alcune piscine private, le giornate a battere la propria migliore amica a mini-golf, le mattinate seduta in giardino con il bicchierone di Estathè (ALLA PESCA) in mano e un buon libro da sfogliare, a sguazzare nell'acqua cristallina di Venice Beach, la sabbia, le risate, i miei amati gelati a tre gusti più panna...

Sognavo ad occhi aperti.

L'ultimo giorno di scuola era stato ieri ed ora ero libera.

Ero sdraiata a pancia in su nel mio caloroso letto con il piumone che mi copriva dai mostri (quelli stronzi mi acchiappavano se non avevo il piumone addosso) e sorridevo entusiasta.

L'estate era il paradiso.

Era difficile che mi piacesse così tanto qualcosa, io avrei vissuto solo di libri, Aubrey e cibo.

Il resto mi era quasi totalmente indifferente. Almeno, mi piaceva credere che lo fosse. Se fermiamo tutto e ci pensiamo meglio, essere indifferente è come una corazza che indossiamo per non essere traforati dalle spade che gli altri impugnano con forza.

È molto più facile, in effetti, tenere quella corazza che lasciarla cadere e combattere a mani nude quelle spade affilate.

Ma quei giorni erano finiti, perfino le spade si sciolgono al sole estivo.

Avevo aspettato così tanto quel momento che non mi sembrava vero.

Energeticamente, scartai via il piumone perché i mostri di mattina non c'erano, e accesi la radio.

Kety Perry esplose nelle pareti della mia camera e io saltellai verso il mioaramdio.

Tutti i vestiti schifosi erano spariti. Non c'erano maglioni, jeans larghissimi o leggins macchiati.

C'erano costumi di ogni genere, pantaloncini, t-shirt over size e alcuni top.

Ed erano tutti stupendi.

Sorrisi saltando dall'emozione e scesi in cucina con i pantaloncini del pigiama e la camicietta senza maniche sempre del pigiama.

Mi sarei cambiata dopo.

-Mamma! Mamma, dove sei?- grido scendendo gli scalini.

-In cucina, amore-

L'odore dei pancakes ci mise poco a raggiungere il mio naso e corsi emozionata come una bambina, in cucina.

-Mhh...- dissi, addentando un pancake famelica.

-Ehy! Stavo ancora finendo di preparargli!- mi sgridò mia madre ridendo.

Spostai uno sgabello e mi accomodai appoggiando i gomiti sull'isola della cucina.

Mia madre mi guardò e sorrise dolcemente, poi si avvicinò e mi spostò una ciocca di capelli bruni dietro l'orecchio.

-Tra poco ci sarà il tuo compleanno, tesoro- disse, con un velo di tristezza nella voce.

-Abbiamo una concezione molto diversa del tempo- risposi io, masticando il mio pancake.

-Beh, tra meno di un mese-

-Il primo luglio, mamma, è tra più di un mese. E comunque, sai quanto odio i compleanni-

-E infatti non ne capisco il motivo! Insomma, qualunque adolescente ama festeggiare il proprio compleanno in un ristorante di lusso!-

La fulminai e lei rispose con lo stesso sguardo, continuando ad accarezzarmi la testa.

-Punto primo: molto probabilmente odio le feste di compleanno perché Clarissa alla sua mi ha rovesciato tutto il Frozen Yogurt addosso, per cui ora trovo molto difficile reputare il compleanno una cosa amabile. Punto secondo: io non sono "qualunque adolescente", io sono tua figlia e soffro di molti più disturbi mentali di "qualunque adolescente", e punto terzo non abbiamo i soldi per un ristorante di lusso, anche se proprio volessi.-

Mamma spalancò gli occhi e la bocca.

-Clarissa! Dio, da quanto tempo non me ne parli? Vi vedete ancora?-

Si si mamma, ignora pure la nostra situazione economica

-Sei seria? Clarissa è una delle persone più false che io conosca. Ogni santa volta che mi vede mi tira i capelli e dice "Quanto mi sei mancata!" per poi andare a sparlare di me a chiunque le passi accanto- sbuffai.

-Che brutta persona.Fai bene a non portarla a casa, altrimenti glieli tiro io quei capelli biondi e palesemente finti-

-Mamma! -risi.

Risucchiai tutto il succo d'arancia con la cannuccia di plastica nel mio bicchiere e mi alzai.

-Devo andare da Aubrey- dissi.

Lei si avvicinò a me e mi posò un dolce bacio sulla guancia e io mi fiondai tra le sue braccia abbracciandola e tenendola stretta a me.

-Ah, e dì a Aubrey di salutarmi suo padre e che se quando vuole può passare da noi!- mi gridò mentre salivo le scale.

Mi fermai.

-Suo padre? Perché dovrei salutarlo?- chiesi

-Oh, beh, ti paga la vacanza ogni estate!- rispose.

Già perché era grazie al padre di Aubrey che andavo in piscine private, campi di minigolf eccetera.

Però non l'avevo chiesto io, assolutamente, Aubrey mi diceva sempre che mi reputava come una figlia e che non gli faceva alcun problema. Insisteva lui, e io lo accontentavo e mi beavo di quei villaggi estivi.

Alzai gli occhi al cielo e salii in camera mia.

Indossai dei pantaloncini di jeans e una t-shirt larga.

Mi misi solo poco mascara.

Il mio aspetto era una delle tante cose che non mi convincevano nella mia vita.

Avrei voluto essere spontanea come tutte le altre ragazze che venivano a scuola con i top scollati e le minigonne che praticamente non esistevano da quanto erano corte.

Era tutto imperfetta la mia vita. Il mio aspetto, la mia casa, il mio quartiere.

Non era come gli altri. E questo mi piaceva. Mi piaceva non essere il solito cliché.

Ma il mio aspetto era l'unica cosa che avrei voluto avere come le altre.

Mi dicevano in continuazione che ero da rivista, che ero perfetta eccetera. Ma la sfida più grande stava nel crederci sul serio.

Gli abiti corti o scollati non esistevano nel mio armadio: era questa la mia regola morale.

Solo i top li adoravo e li indossavo, ma cose oltre no. Proprio no.

Comunque, uscii di casa tutta saltellante.

Il nostro era un quartiere tipico californiano, tutte le villette erano attaccate con il giardino ,e il box e le palme alleggiavano attorno al quartiere.

Noi lo chiamavamo il Bronx 2.0.

Si, perché lì non c'era assolutamente nessuna regola. No rules.

I ragazzi andavano in giro in skate e con le bombolette scrivevano sui muri, scuotevano le palme credendo che scendessero le noci di cocco (idioti, magari ve ne cadesse una in testa ma tanto rimbalzerebbe) e rompevano le scatole a chiunque qui.

L'asfalto era rovente e pareva si sciogliesse dietro ogni mio passo, mentre io, con un pancake in mano, guardavo il cielo azzurro e limpido screziato di leggere e candide nuvole bianche.

Peccato che, rincoglionita com'ero, andai a sbattere contro il petto di qualcuno.

Alzai velocemente lo sguardo e non potei credere ai miei occhi.

Ma che cavolo...

Bạn đang đọc truyện trên: Truyen247.Pro